
L’ARMONIA DEL COLORE
A partire dagli anni Sessanta del XIX secolo in Lombardia, la tradizione della pittura di paesaggio è segnata da una innovazione destinata a segnarne i destini futuri. Artisti come Gaetano Fasanotti, docente a Brera, iniziano ad esplorare le potenzialità espressive di una pittura condotta en plein air, a diretto contatto con la natura, per cogliere e riprodurre in maniera più efficace gli effetti di luce e colore colti sul vero. Questo importante momento di riflessione porta ad un radicale cambiamento nella concezione del paesaggio stesso: si abbandona la tradizione del paesaggio scenografico, del paesaggio come veduta organizzata secondo dei canoni e dei principi convenzionali. Adesso i pittori studiano direttamente sul vero le caratteristiche del paesaggio sviluppando una pittura che tende a farsi sempre più agile e sintetica, con una stesura fatta di pennellate ora corpose ora sfaldate che esaltano i valori e i rapporti cromatici e luministici. Si apre così la stagione del cosiddetto colorismo, di una pittura, cioè, non più basata sulla prevalenza del disegno, ma del colore esaltato anche nella sua valenza materica. Ciò che i pittori vogliono, affrontando il paesaggio, è restituire i rapporti tra i valori e i toni, le complessità delle luci e la ricchezza del colore locale, riuscendo a restituire il senso di immediatezza e di verità della visione.
È un nuovo modo di intendere il paesaggio che impone un nuovo modo di interpretarlo. I grandi maestri di questa stagione pittorica, dal caposcuola torinese Fontanesi ai lombardi Carcano e Gignous e ai più giovani come Mariani, Filippini, Bazzaro, Gola, Dell’Orto, Cressini, Belloni e, naturalmente, Segantini, diventano i cantori di una visione del paesaggio pittorico inteso come una ricerca di armonie cromatico-luminose e, quindi, di una pittura come espressione di un sentimento del vero e della natura capace di evocare e suggerire emozioni e sensazioni. Dinanzi a questa pittura i critici parlano del paesaggio come di una «musica senza parole», di quadri da osservare come se si ascoltasse un’orchestra suonare una sinfonia. Come la musica attraverso le note e, quindi, attraverso quindi i suoi elementi costitutivi e l’abilità del compositore, è capace di suggerire ed evocare sensazioni e stati emotivi, così la pittura di paesaggio diviene l’emblema di una pittura che non ha bisogno di descrivere i luoghi, ma che attraverso i suoi elementi linguistici, attraverso le potenzialità espressive della pennellata, del colore, degli accordi tonali, della luce, riesce a destare una emozione. In questo senso il pittore non è un semplice riproduttore della natura e, come sottolineano i critici, poco importa sapere quale sia il luogo che rappresenta l’opera: il quadro di paesaggio diviene il luogo nel quale si manifesta una sensazione individuale provata dall’artista che, attraverso il proprio linguaggio, la trasfigura in una emozione pittorica. Ogni artista esprime un personale modo di sentire il vero e di riprodurlo, di costruire, cioè, delle armonie pittoriche capaci di toccare le corde più disparate, dalle più limpide e distese alle più drammatiche e fonde.
Le opere esposte in queste sale, risalenti agli anni Ottanta dell’Ottocento, offrono uno spaccato della ricerca di quello che viene comunemente definito il naturalismo lombardo e che stilisticamente, per la priorità conferita al colore come mezzo costruttivo ed espressivo, esprimeva le istanze moderne del colorismo. I singoli quadri rappresentano altrettante modalità di vedere e sentire il vero: dalle assolate visioni di Dell’Orto dove la stesura pittorica esalta l’intensità e la radianza dei toni, alle note drammatiche della pittura di Leonardo Bazzaro, dalle atmosfere malinconiche e sentimentali di Gignous, Filippini e Bezzi, alla potenza della visione mentale del caposcuola Filippo Carcano.