Giovanni Segantini Il poema universale

Giovanni Segantini Il poema universale

MOSTRA


progetto espositivo a cura di Niccolò D’Agati

Nel 1885 presso le sale della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano, nell’originaria sede di Via San Primo, Vittore Grubicy de Dragon organizzava una mostra personale di Giovanni Segantini integralmente dedicata all’ultima produzione briantea. In quella occasione 14 olii e 6 grafiche riassumevano gli esiti di un percorso avviatosi col trasferimento del pittore a Pusiano quando, come Segantini stesso riferiva in una lettera del 1898 a Tumiati, «mi ritirai ed entrai fra i colli ed i laghi della bella Brianza, persuaso che l’arte del dipingere non poteva essere limitata al colore, per il colore in sé stesso, ma che esso potesse essere, sapientemente adoperato, una fonte espressiva di sensazioni d’amore, di dolore o di piacere».
Gli anni briantei costituiscono, sotto questo punto di vista, il primo e nodale momento dell’evoluzione pittorica segantiniana con l’emersione di tematiche, dal paesaggio naturale allo sguardo sulla vita rurale, che costituiranno la base fondamentale degli sviluppi successivi. Più dello sguardo sulla Natura, nell’avvio di quella indagine attorno al dialogo intimo tra l’uomo, gli animali e l’ambiente, l’esperienza in Brianza rappresenta, come emerge dalle parole del pittore, una fase di approfondimento e di riflessione attorno alla pittura stessa, al valore emozionale del colore e della luce, in una linea di evoluzione diretta con le primissime sperimentazioni milanesi. L’influenza esercitata, poi, dalla conoscenza, indiretta e mediata da Vittore Grubicy, della produzione di Millet – evidentissima nelle scelte iconografiche e nei tagli compositivi – apriva, nella personale lettura dell’opera del pittore francese, a quella identificativa concezione del mondo rurale centrata su quella che Primo Levi definiva una peculiare «espressione naturale, una specie di glorificazione, anzi, di soggetti e di forme di cui egli non riconosceva affatto l’umile inferiorità, ma che lo avvicinavano a quel concetto panteistico» che avrebbe, in maniera indelebile, segnato la visione segantiniana. Nascono in questo contesto le poetiche e crepuscolari immagini della Brianza: idilli e romanze pastorali, scene di vita contadina segnate dal lavoro, immagini di una convergenza panica nella comunione tra uomini, paesaggio e animali, drammi individuali che risuonano nell’atmosfera dell’ambiente, che costituiscono, in una considerazione unitaria, un vero e proprio poema per immagini nel quale emerge l’epos della vita umana e della natura. Una visione chiarissima agli occhi della critica che, nel 1885, sottolineava proprio questo aspetto di universalità del concetto artistico di Segantini.

Sono illuminanti, in tal senso, le parole di Carlo Dossi che nel considerare le opere esposte alla Permanente scriveva di lavori permeati di «pregi poetici e di filosofia. Diciamo anche di filosofia, perocché in quelle composizioni permea l’idea dello scambio d’affetti fra la natura esterna e l’intimo del cuore, e della comunanza di sensazioni fra l’uomo e gli altri minori viventi. In un trattato sull’universale amore, potrebbero trovar posto – come prossimo nostro – le pecore del Segantini». Questo afflato universale era il risultato di un connubio poetico, inscindibile e caratterizzante l’arte del pittore arcense, tra forma e contenuto che veniva rimarcato con forza da Luigi Chirtani secondo il quale l’opera segantiniana non aveva precedenti «per l’elevatezza e potenza dell’espressione ottenuta direttamente coi mezzi attinti esclusivamente all’arte di dipingere». La sua pittura pastorale segnava un nuovo punto di riflessione: estranea alle più facili e pittoresche derive del generismo, eleggeva la vita contadina come fulcro narrativo dandole una dignità e una risonanza espressiva, in una ormai raggiunta interpretazione panica del tema, con «intonazioni sobrie e serie», «effetti pieni di gravità e accordi penetranti, nei quali non saprei trovare paragone se non nella gravità commovente della più eletta musica religiosa». Per il critico Segantini è il poeta epico moderno, il creatore di un poema «melanconico, severo, commovente, nel quale fondo e figure, ossia la natura inanimata e l’animo umano si compenetrano in una risultante, in una espressione semplice, grandiosa, e triste, che rasenta il sublime, e talvolta lo tocca». Grubicy stesso non poteva che ricorrere alla medesima immagine per rendere il senso delle «note melodiose e tristi di questa rustica e semplice epopea dei monti»: per il mentore colore e pennelli esprimevano «il canto solenne e quasi biblico che la grandiosa natura dei monti ha saputo ispirare nel suo animo. Qui la pittura scompare e cede trionfalmente il posto all’arte».
In continuità con le prospettive di ricerca avviate con le passate esposizioni – Verso la luce. Giovanni Segantini, dalla maniera scura alla pittura in chiaro (12 novembre – 29 gennaio 2023) e Segantini a Milano: la serie dei Navigli (11 novembre 2023 – 12 maggio 2024) – dedicate agli anni di formazione e alle prime fasi della pittura segantiniana, la Galleria Civica Segantini di Arco intende dedicare un affondo espositivo alla produzione briantea del pittore in occasione della recente acquisizione da parte Comune di Arco di un importante dipinto, facente parte della serie briantea de Il Guado, sinora noto agli studi soltanto da una riproduzione fotografica d’epoca (per un riferimento: A.-P. Quinsac, Segantini. Catalogo Generale, II, n. 377, Cavalli al guado). La mostra si propone di ripercorrere, attraverso una selezione di lavori risalenti al periodo brianteo, i momenti nodali di questa fase della produzione segantiniana nella sua complessità non solo tematica, ma anche nello sperimentalismo tecnico che la contraddistingue nella varietà dei medium e delle soluzioni pittoriche, nonché nella centralità che talune elaborazioni iconografiche degli anni briantei manterranno negli sviluppi successivi dell’arte segantiniana come attestano le rielaborazioni ulteriori dei soggetti nel corso degli anni Novanta. Lavori come Il bacio alla croce (St. Moritz, Segantini Museum), Pompeiana (Arco, Comune di Arco), Pastorella alla fonte (Coira, Bundner Museum), Pastore addormentato e Il pastore innamorato (St. Moritz, Segantini Museum) e altre variazioni sui motivi pastorali, provenienti da collezioni pubbliche e private nazionali e internazionali, come le declinazione grafiche sul motivo de L’Ave Maria a Trasbordo o l’Ave Maria sui monti, renderanno conto di quella particolare declinazione delle tematiche da idillio che Grubicy definiva come canzoni e romanze caratterizzate da una idealizzazione del rapporto uomo-natura in una interpretazione panica del paesaggio come precipitato e riflesso dell’atmosfera emotiva del motivo. Una linea che si riflette, con toni più drammatici e individuali, in lavori come Babbo è morto (St. Mortiz, Segantini Museum) e La culla vuota! (Piacenza, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi) dove il ricorso a soggetti diffusi nella pittura italiana del tempo si liberava dalle interpretazioni “di genere” per assumere un valore più poetico in rapporto all’enfatizzazione del valore emozionale del colore e della luce. Segantini stesso riconduceva queste sperimentazioni cromatiche e luministiche al tentativo di «riprodurre i sentimenti che provavo, specialmente nelle ore della sera, dopo il tramonto, quando il mio animo si disponeva a sottili malinconie»: una tendenza che si riflette e che sarà documentata in mostra dai lavori a carattere paesaggistico come Cavalli al guado e Paesaggio Brianteo (Arco, Comune di Arco), Tramonto a Pusiano (Milano, Galleria d’Arte Moderna) e Paesaggio con donna sull’albero (Sciaffusa, Museum zu Allerheiligen) dove l’interpretazione del paesaggio supera il dato naturalistico per assumere una valenza più immediatamente poetica. A fianco di questi soggetti, la serie di opere dedicate alla vita animale e al lavoro, dalle variazioni attorno agli animali in stalla alle immagini della fatica, come Il reddito del pastore (Tortona, “Il Divisionismo”), Il Bifolco (Milano, Galleria d’Arte Moderna), La tosatura delle pecore (St. Mortiz, Segantini Museum) e le declinazioni grafiche dell’epica visione de L’ultima fatica del giorno (coll. privata), restituiranno uno degli aspetti più riconoscibili dell’epica visione della brianza segantiniana, nel rapporto inscindibile tra uomo, animali e natura.
Nel percorso espositivo, a fianco alle opere, saranno presentati materiali iconografici e documentari d’epoca utili a ricostruire alcuni passaggi significativi del percorso brianteo e della vicenda artistica segantiniana. A corredo della prima esposizione di Cavalli al guado, inoltre, saranno allestiti dei pannelli didattici che restituiranno gli esiti delle indagini diagnostiche e delle analisi scientifiche, coordinate dal Prof. Gianluca Poldi, condotte sul dipinto al fine di presentare al pubblico elementi utili ad un approfondimento della tecnica pittorica segantiniana negli anni briantei.

E’ prevista la realizzazione del catalogo della mostra.